Thread Forum:
Simona Marziali
Editoriale
Edizione 90
07.01.2022
Simona Marziali: maglia come terapia

Come nel filo conduttore che collega i vari interventi in una conversazione online, il progetto Thread Forum, curato da Antonio Mancinelli, è una ricognizione sul ruolo della maglieria nell’estetica contemporanea. Grazie a una serie di interviste ai più noti knitwear designer del mondo selezionati tra coloro che intervengono a Pitti Filati, intende anche dare risposte agli interrogativi che spesso si pongono retailer e acquirenti, ma a cui non si trovano facili risposte: dialoghi sul “qui” e “ora” di una materia che fa parte da sempre della cultura del vestire.

Attualmente collabora con Gruppo Max Mara, Diesel, Roberto Collina e ha da poco iniziato a collaborare con un’importante filatura «per lavorare su ciò che addirittura esiste prima del filato, e scatenarmi anche su quello. È un’esperienza bellissima». Simona Marziali, nel corso degli anni, ha lavorato anche con Iceberg, un’azienda particolarmente fondata sulla maglieria: «Una bella scuola, dove mi hanno affidato subito compiti di grande responsabilità ed è stata una formazione sul campo». Grazie alla sua famiglia, proprietaria di un maglificio, sta lanciando un’eponima collezione. 
Da molti anni lei disegna maglieria per vari direttori creativi. Eppure, anche per molti di loro, si dà per scontato che chi sa disegnare bene un abito sia in grado di esprimere la stessa creatività e competenza di chi si occupa strettamente di knitwear. Non le sembra che sarebbe il caso di fare un po’ di chiarezza? 

Ha ragione. La maglieria è un settore che appartiene al mondo della moda, ne assorbe ispirazioni e ha simili processi ideativi, ma è un settore a sé, dove la tecnica va di pari passo con l’aspetto più emotivo e visionario. Esige delle competenze tecniche da cui non si può sfuggire, sia per sapere prima quale risultato ottenere, sia per “ribaltarne” regole e funzionamenti e ottenere qualcosa di nuovo. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che possiede un’azienda produttrice di maglieria, e quindi fin da piccola ero a contatto con un vocabolario di lemmi ma anche di procedimenti di cui, quasi senza rendermene conto, sono diventata parte: un pianeta dove abito da sempre. 
 
Quale lezione imparata lungo il suo percorso professionale vorrebbe condividere con chi desiderasse svolgere la sua professione?

Non stancarsi mai di imparare, di interessarsi ad argomenti come la distribuzione, il target di riferimento, il costo finale di ogni capo e di come tutto questo converga poi nel prodotto finito, che dev’essere nuovo, vendibile, desiderabile. Bisogna trovare, cioè, sempre un bilanciamento tra sapienza tecnica e slancio ispirazionale. La creatività, da sola, è importante ma non basta. Come non serve soltanto la perizia riguardanti gli strumenti specialistici. È un bellissimo esercizio spirituale e fattivo: bisogna guardare la realtà fino in fondo, composta dall’estro ma anche dal business. 

Se le chiedessi da cosa parte nel suo lavoro, lei risponderebbe…?

Da qualsiasi fonte. Che sia un libro d’arte o una parete dall’intonaco scrostato, c’è l’istinto a voler riprodurre una texture, una superficie, una sfumatura di due o più colori. A quel punto subentra l’esperienza pratica, per vedere se si riesce a ottenere quell’effetto con la tecnologia. Se dovessi dirle quale sia il momento che mi emoziona di più tra il primo disegno e il primo telino che esce dalla macchina, direi che siamo allo stesso livello di coinvolgimento. 
 
C’è un capo che l’appassiona di più nel processo creativo? 

Forse il pullover. Ma in realtà, ciò che più mi entusiasma è la capacità della maglieria di cambiare di segno, se così si può dire, a capi che consideriamo “classici”, per non dire noiosi. Modificandone volume e morbidezza, acquistano una modernità che prima era loro negata. Ma bisogna stare attenti per evitare l’effetto “vecchio”: anche la maglieria necessita di continui aggiornamenti per essere definita contemporanea, che siano i nuovi filati – che trovo nei miei viaggi a Pitti Filati o in altre fiere simili – o delle proporzioni inedite. Per esempio, mi sono molto divertita a disegnare, anni fa, delle giacche che da lontano sembravano rigide, infustate, ma prese in mano sprigionavano una morbidezza inaspettata. 

Genderless, diversity, inclusivity: i valori che s’insinuano nella modalità estetica dell’oggi non crede che trovino nella maglia l’interprete ideale? 

Assolutamente. La maglieria asseconda il corpo, le forme, si presta a mille interpretazioni e a infinite combinazioni. In un certo senso, è l’unico materiale della moda che ha potenzialità e occasioni d’uso potenzialmente infinite. 
 
C’è un designer che ama particolarmente, per quanto riguarda il knitwear?

Due: Phoebe Philo e Raf Simons. E non solo per il knitwear. Amo la loro modernità. 

L’esperienza della pandemia ha influito sul suo modus operandi?

A livello personale, no. Lavorando e producendo in Italia, ho continuato a viaggiare tra le aziende. Mentre ho notato una consapevolezza maggiore da parte delle aziende per cui lavoro, che hanno preferito collezioni rassicuranti, tranquille, safe.
 
Si può essere sexy in maglia, a qualsiasi sesso si appartenga?

Ma certo! (Ride) La maglia esalta l’anatomia mentre la protegge. Funziona meglio di una seduta di psicoterapia per aumentare l’autostima.